E' un cofanetto in decrescendo.
Parte col magistrale Oxygene, che sentito oggi pare un lavoro soltanto di "qualche" anno fa, con atmosfere magari vintage ma con un gusto che non ha epoche per via del fatto che usa gli strumenti a disposizione con misura, con sobrietà, creando soundscapes di una morbidezza ben più calda di quanto gli algoritmi di sintesi sonora potessero far presupporre.
Molto raramente questo risultato si è ottenuto nella musica elettronica. Questo secondo me è accaduto per due motivi principali: uno è che la potenzialità davvero rilevante di synth, sampler e affini ha scatenato fantasie anche evitabili ed ha dato modo di sviluppare in lungo e in largo anche idee piccole, che di loro avevano poco e che quindi sono emerse solo in forma di suoni troppo gonfiati; l'altro è che per fare musica elettronica (detto così, a prescindere dal risultato) non è affatto necessario essere buoni musicisti, e lo si è visto in moltissime occasioni.
Dal 1976, anno di grazia per Jarre, il cofanetto passa al 1997, con la seconda puntata di Oxygene. Quanto del disco si voglia attribuire al mercato e quanto al desiderio effettivo del musicista di pubblicare un seguito al capolavoro è un calcolo che serve a poco, ma sta di fatto che l'esito, pur positivo per quanto riguarda la coerenza stilistica e un buon gusto rimasto com'era, sembra esser quello di tanti sequel più "necessari" che opportuni, e più "opportuni" (economicamente) che fertili. Si ascolta, insomma, una buona ripresa di quanto fatto in precedenza ma ci si trova anche, sorridendo un po', a considerare questo capitolo 2 talvolta perfino meno attuale, e comunque più spesso meno affascinante, del primo capitolo. Niente di grave, solo una reprise un po' vuota, soprattutto perché confrontarsi con il disco del 1976 equivaleva a perdere con una probabilità molto alta in partenza.
Il buffo viene col terzo CD, una compilation di remix relativi ad alcuni brani del secondo Oxygene, affidati a nomi più o meno grandi del settore. A parte due buone elaborazioni di Loop Guru, distanti parecchio dal resto della raccolta, lo spettacolo è curioso per almeno un paio di ragioni: una è che davvero non si è tirato fuori null'altro che la solita dance, più o meno coloratai qui e lì con qualche spruzzo di samples neanche originali, e davvero non si riesce ad ascoltare altro che qualche riferimento alle melodie o alle armonie dei brani perso dentro i soliti lead molto "phat" e troppo, troppo consueti non solo nei timbri ma anche propriamente nell'utilizzo; la seconda ragione è che si compie definitivamente, impietosamente ed in modo ancora più brusco un buffo viaggio al contrario che, col crescere degli anni di pubblicazione del cofanetto, fa apparire invece come più datato il CD in rotazione, sicché ci si trova con un dischetto uscito fresco fresco e che ha molto, molto meno da raccontare degli altri due proprio, paradossalmente, sul piano dei timbri, delle sonorità, dell'uso di un'elettronica che nel frattempo "avrebbe" aperto numerosissime porte in più per realizzare con minor tempo e fatica lavori molto più ricchi ed articolati. E' che per riuscirci, si diceva all'inizio, bisogna essere dei musicisti ed avere delle idee da saper trasformare in suono...
Resta l'incanto, tuttora stupito forse ancor più che in passato, per un CD del 1976 che suona splendidamente oggi, e che per più di un domani avrà cose da far vedere ascoltandolo.
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