Musica e poesia non è cosa da gridare come fosse novità assoluta, no. E' che quel versante della cultura chiamato curiosità, quell'interesse che ci porta a scoprire cose meno appariscenti per il piacere di apprezzarne il valore, si traduce in percorsi personali che non sempre si ha modo, tempo o spazi per percorrere con tranquillità, essendo in genere sommersi da tutto ciò che è quantità (generi e proposte massificati e industriali) oppure, all'estremo opposto, da sperimentalismi puri, autocelebrazioni che spesso da già sgradevoli autocompiacimenti divengono involontari autocompatimenti o quando gira bene occasioni perdute.
In mezzo, dicevo, c'è il piccolo camminare di ciascuno in giro per buone idee e buone loro realizzazioni. Il 30 ottobre a Roma ne abbiamo ascoltata una.
Michele Fianco è un poeta, anche. Ama il jazz, lo ha suonato per un po' ed è arrivato ad un punto in cui ha sentito di voler unire due passioni vere in una cosa sola, per la gioia di fare una cosa che gli piace fare. Partiamo già bene, direi. Queste iniziative però bisogna prenderle con discrezione, perché l'autarchia genera mostri e già essa stessa non è che abbia tantissimi aspetti convincenti, specie se poi sul mito di te, che sei libero di cotruirti come ti pare, ci fai su uno spettacolo che pretendi venga visto da altri. Michele è una persona che ha discrezione, oltre che arte nella sua penna (perché "una bella penna" è bello da dire anche in ere informatizzate, sì). E' così che la serata, nel centralissimo Gregory's di Via Gregoriana a Roma, si è rivelata in tutta la sua piacevolezza.
Devo pur raccontarvela, la serata. Ne convengo. Dunque: poesie d'amore, per dirla in sintesi, inserite in standard jazz suonati da due chitarristi, con la voce a recitare così come una o l'altra delle due chitarre subito dopo avevano il loro solo. Jazz, con tema e soli (anche se ovviamente i versi non erano improvvisati). In alcuni brani anche la voce di Alessia Piermarini ha contribuito a dare una connotazione solida alla performance, eliminando del tutto le eventuali ipotesi che si potesse trattare di un esperimento di quelli per pochi eletti, da tempo tipica cartolina che terrorizza una bella fetta di genere umano quando si parla del suddetto poesia-e-musica. Invece no, atmosfera quieta, con due abili musicisti (Stefano Nencha e Francesco Poeti, peraltro caratterizzati da stili e approcci diversi che si sono evidenziati nel corso della serata), una cantante dalla voce chiara e, per quanto mi riguarda, capace di dare emozioni scendendo a note più basse, e un poeta che da anni scrive versi densi di qualità perché sono insieme ricerca e vita.
Abbiamo parlato assieme della serata, di come è andata, di come possa svilupparsi in futuro, portandola in giro verso chi ha voglia e, ancora, curiosità d'ascoltare. Cercate le sue poesie in rete, andate a trovarlo e scopritelo. Non ve ne pentirete in primo luogo perché provare pentimento per una cosa simile, a prescindere da come vi andrà, dovrebbe stupirvi alquanto, e poi perché potrete godervi uno stile, che è cosa rara.
1 commento:
Sì. Ero presente alla serata e per quanto mi riguarda, posso aggiungere che il RITMO che il poeta ha dato alla performance (proprio un ritmo "musicale", intendo) era inesorabile e dolce al tempo stesso, riusciva a essere...pratico e lirico insieme, non so. Venivano in mente i grandi brasiliani del passato, Vinicius De Moraes ma anche, per il tipo di voce, Chico Buarque De Hollanda... e poi, ovviamente, il Jazz. La scansione, anzi per dirla in termini prettamente musicali la DIVISIONE delle poesie ha sospinto, sostenuto, sorpreso come un batterista dal mestiere consumato le anime e le emozioni di tutti, esecutori e pubblico. Raramente ho visto qualcuno, sia in poesia che in musica, esprimere così compiutamente se stesso e ciò in cui crede (principale compito di un artista, credo). Bellissimo, spero che ne facciano un disco.
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